SCHEDE DI ACLISTI BRESCIANI ILLUSTRI

 

mons. ANGELO ZANETTI

(Provaglio d’Iseo 11.8.1930 – Chiari )

 

Assistente provinciale delle ACLI dal 1967 al 1971[1]

Direttore diocesano ufficio pastorale del lavoro 1971-73

 

 

Don Angelo Zanetti viene nominato assistente delle ACLI provinciali di Brescia il 14 giugno del 1967 per la morte prematura di mons. Giacinto Agazzi avvenuta il 3 luglio del 1996. Durante questo intervallo di tempo don Giacomo Pernigo venne nominato pro-assistente delle ACLI bresciane.

Per rendere più chiara possibile l’ansia pastorale di don Angelo come sacerdote e come Assistente nelle ACLI svilupperemo i seguenti aspetti:

  1. Assistente delle ACLI bresciane : necessità di conoscere le ACLI e i problemi del mondo del lavoro da un punto di vista pastorale;

  2. Attuare il Concilio Vaticano II: necessità di far maturare negli aclisti e negli assistenti di circolo le speranze del Concilio Vaticano II nell’animazione cristiana del mondo del lavoro;

  3. L’autonomia dei laici nelle scelte politico-sociali è un bene per tutta la Chiesa;

  4. Tessitore instancabile con gli assistenti di circolo e artefice del dialogo delle ACLI bresciane con la Chiesa locale nel periodo burrascoso degli anni ’70;

  5. Il legame dell’Assistente ACLI con il suo Vescovo;

 1. Assistente delle ACLI bresciane

Don Angelo quando fu nominato Assistente delle ACLI bresciane trovò un movimento che negli anni precedenti aveva cercato di costruire la propria autonomia politica attraverso una sistematica analisi sulla società italiana, sul comunismo, sul capitalismo, sull’unità sindacale ecc.. Analisi che avevano quale punto di riferimento i convegni di Vallombrosa. In seguito a questo massiccio impegno politico e culturale impresso dal Movimento in tutte le sue realtà iniziarono a manifestarsi delle difficoltà nei rapporti tra i circoli ACLI e i relativi assistenti, difficoltà che portarono diversi sacerdoti al disimpegno. Queste difficoltà, presenti fin dalla nascita del Movimento, erano state superate grazie all’autorevolezza di cui mons. Agazzi godeva. Ora si ripresentavano.

Le difficoltà che don Angelo incontrò nel suo nuovo incarico, oltre al disimpegno dei sacerdoti erano dovute anche alla crisi che il Movimento bresciano stava attraversando da alcuni anni e che portarono alla presidenza di Mario Faini. Egli  dovette quindi farsi carico di una realtà pastorale nuova, in parte conosciuta e verso la quale si sentiva legato[2].

Don Angelo si propose due obiettivi: riaccostare il clero alle ACLI e promuovere un’azione più decisa sul piano formativo verso i dirigenti aclisti.

Per fare questo dette vita all’UPAE (Ufficio Provinciale Assistenti ACLI), che aveva il compito di svolgere la sua attività pastorale a servizio delle ACLI e, tramite le ACLI, a servizio del mondo del lavoro, in varie direzioni attuando una sua precisa azione sacerdotale.

Per questo motivo costituì un “gruppo sacerdotale di lavoro”, formato da 30 sacerdoti a cui vennero affidate le 17 zone con cui era stata divisa la Diocesi. A questo primo gruppo affiancò altri sacerdoti sensibili ai problemi sociali, tra cui l'assi­stente dei giovani lavoratori dell’A.C.  e l’assistente dell'Onarmo.   

Tra le prime iniziative che don Angelo avviò fu quella di conoscere lo stato dei rapporti tra gli assistenti di circolo e il circolo ACLI locale attraverso un apposito questionario: in esso si chiedeva quale era la presenza dell’assistente nel circolo, quali erano le attività religiose svolte dal circolo, quali erano i rapporti con la parrocchia e con le altre associazioni cattoliche in parrocchia, quali erano le critiche che l’assistente muoveva al circolo, quali erano gli apprezzamenti e infine quali suggerimenti e osservazioni utili. Dei 215 questionari inviati ne ritornarono 75. La risposta di solo 75 assistenti su 215 poneva in evidenza il disimpegno dei sacerdoti verso le ACLI.

Di fronte a questa situazione diede vita a cinque incontri con il “Gruppo sacerdotale di lavoro”, incaricati di zona e collaboratori; cinque riunioni zonali; dodici visite domiciliari agli assistenti di zona e una “tre giorni” residenziale per assistenti di zona a Moena. Nell’ottobre dello stesso anno costituì la consulta assistenti, formata dai sacerdoti collaboratori e dalla segreteria eletta del Gruppo sacerdotale di lavoro[3].

Per la formazione religiosa e morale dei dirigenti e dei militanti delle ACLI diede vita a diverse iniziative: ritiri spirituali per Natale e Pasqua con una riflessione puntuale su “Battaglie Sociali”, a momenti di riflessione religiosa nei convegni, nelle consulte, durante i campi estivi, ecc.

Accanto a questi momenti di presenza significativa, anche se occasionale ve n’erano altri che diedero l’ossatura alla formazione aclista in questi anni. Il più importante fu la pubblicazione su ogni numero di “Battaglie Sociali” di un suo articolo in prima pagina: articoli di profonda ansia pastorale che si rivolgevano ai militanti aclisti, alle ACLI, al mondo del lavoro.

2. Attuare il Concilio Vaticano II

Gli anni nei quali don Angelo Zanetti era stato chiamato a fare l’assistente delle ACLI erano intensamente segnati dal Concilio Vaticano II appena concluso. Una delle priorità che egli volle perseguire fu quella di calare negli aclisti e negli assistenti di circolo le direttive e lo spirito conciliare evidenziando in modo particolare il primato della coscienza e della responsabilità[4].

Su “Battaglie Sociali” dell’ottobre del 1967, due mesi dopo la sua nomina, don Angelo cogliendo l’occasione che nello stesso periodo si erano svolti il Sinodo dei Vescovi e il Congresso mondiale dell’apostolato dei laici, scrive un articolo dal titolo «Per una collaborazione responsabile» affrontando il rapporto laici-Chiesa alla luce del Concilio Vaticano II.  Nell’articolo don Angelo partendo dalla Costituzione sulla Chiesa sottolinea come i laici siano, pur con la loro singolare vocazione, parte integrante della Chiesa tutta[5]. Per questo è necessario che i cristiani preti e i cristiani laici rinnovino la loro mentalità alla luce dell’insegnamento dei testi conciliari.

Affronta poi il tema dell’autonomia dei laici trasferito nel campo aclista[6]. 

Gli incontri sui temi conciliari impegnarono in modo massiccio l’ufficio provinciale degli assistenti a tal punto che si dovette dar vita a incontri specifici presso la sede provinciale delle ACLI.  Questi incontri denominati “Giovedì di cultura conciliare” perché si svolgevano al giovedì, erano articolati in due tornate di incontri di quattro lezioni ciascuna effettuati nei mesi di maggio e novembre del 1968 e ripetuti poi negli anni ’69 e ’70.[7]

 

3. L’autonomia dei laici nelle scelte politico-sociali è un bene per tutta la Chiesa

In un suo articolo apparso su “Battaglie Sociali” intitolato “Impegno e coraggio nell’esperienza aclista” in risposta alle polemiche suscitate dal convegno di Vallombrosa sul tema “impresa, movimento operaio e piano”, e che aveva creato uno strano atteggiamento del mondo cattolico combattuto tra le esigenze di giudicare onestamente le cose che le ACLI andavano affermando e le perplessità di fronte all’azione conseguente del movimento aclista, dopo aver sottolineato prudenze ingiustificate e la cattiva abitudine dei cittadini a delegare tutto[8], così si esprimeva: “(...) L'aclista è un cristiano che sente l'imperativo del proprio battesimo e lo traduce inserendosi coraggiosamente nella dinamica sociale, portandosi il lievito del pensiero sociale cristiano[9].

Nel documento “ Le ACLI dal punto di vista pastorale”, pubblicato sulla “Rivista della diocesi di Brescia”, don Angelo nel descrivere l’atteggiamento critico delle ACLI, quale movimento sociale operaio cristiano, di fronte alla società cosiddetta del benessere e alla condizione operaia nell’impresa (e nella società), affermava che esse si ponevano “nel ritmo delle profonde trasformazioni del nostro tempo” nel solco della fedeltà al Concilio e al magistero della Chiesa[10]. 

Le ACLI e gli aclisti, per don Angelo, dovevano avere coscienza di operare in un tempo in cui  si faceva particolarmente vivace e critico il processo di queste trasformazioni. “Le ACLI dovevano essere forza autonoma di liberazione e di partecipazione in campo sociale, nell’esercizio di un preciso diritto-dovere (si parla di virtù morale della politica) tendenti a creare le condizioni per una democrazia partecipativa (cfr Gaudium et Spes nn. 29, 30, 31, 36, 73, 74, 75 – Documento dei vescovi italiani, ,”I cristiani e la vita pubblica”, 1a parte, gennaio ’68)”

Le ACLI dovevano essere fermento culturale ed esperienza conciliare nella animazione cristiana del mondo del lavoro. Non era forse una esperienza, quella aclisti, che poteva facilitare e favorire quell’“ora di riconciliazione” tra Chiesa e mondo del lavoro auspicata dal Concilio?

L’autonomia che le ACLI andavano maturando poneva problemi nei rapporti con alcuni Assistenti di circolo sia rispetto al Movimento sia rispetto all’Assistente provinciale.

Nel Consiglio provinciale del 21 settembre 1968, don  A. Zanetti, prendendo spunto dagli interrogativi che da ogni parte venivano rivolti alle ACLI per la linea poli­tica che il Movimento andava assumendo espresse una serie di quesiti e di giudizi già esternati in altre occasioni puntualizzandoli, sul ruolo del Movimento e sul ruolo degli stessi Assistenti ecclesiastici nel Movimento; quesiti che non potevano essere trascurati nella ri­sposta chiarificatrice che le ACLI dovevano dare non so­lo agli iscritti,  ma anche agli assistenti ecclesiastici, all'Episcopato italiano e allo stesso Sommo Pontefice.

Dopo aver ricordato che le ACLI, nate come «il Movimento Sociale dei lavoratori cristiani», con «dei preci­si obiettivi di carattere apostolico (animazione cristiana del mondo del lavoro)» perseguendo i quali si può dire che abbiamo «costituito, nella recente storia della cristianità, un'esperienza, ecclesiale del Movimento o­peraio cristiano nuova ed originale», l’assistente si chiedeva oggi, «c’è  ancora posto per l'esperienza aclista?». C'è ancora spazio «per le ACLI come forma di autentico apostolato cristiano che copra tutto l'arco della vita sociale, o le ACLI oggi si devono ricondur­re in un ambito più ristretto,  prevalentemente di tipo partitico o di tipo sindacale?[11]»

Sosteneva che il problema della specificità cri­stiana andava al di là delle scelte politiche che i di­rigenti aclisti, autonomamente, responsabilmente e democraticamente potevano fare, in quanto era possibile stabilire anche che «l'apostolato aclista non scaturisse da un diretto mandato della gerarchia. ma immedia­tamente dalla coscienza cristiana del lavoratore stesso». Per questo continuava: «le ACLI hanno voluto, nel loro costituirsi (statuto = fatto democratico), il sa­cerdote assistente perché fossero intimamente cristiane, dal di dentro cristiane, strutturalmente cristiane»[12].

Entrando nel merito della funzione e del ruolo dell’­assistente osservava che «gli assistenti ecclesiastici, pur essendo in funzione delle ACLI, non entrano nella sistematica organizzativa dell'associazione, perché la loro nomina e il contenuto della loro guida morale hanno una fonte che sta fuori dalle competenze autonome dei dirigenti»[13].

Da qui nasceva secondo don Zanetti «un delicato ma amichevole problema di competenze e rapporti» che lo stesso PAOLO VI nel discorso fatto agli assistenti ecclesiastici nell'aprile del 1968, «riconosce con franchezza e con comprensione come un problema permanente»[14].

 

4. Tessitore instancabile con gli assistenti di circolo e artefice del dialogo delle ACLI bresciane con la Chiesa locale nel periodo burrascoso degli anni '70

Il 21 novembre dello stesso anno, presso la sede delle ACLI, don Angelo organizzò l’assemblea generale degli assistenti di Brescia. Gli scopi dell’assemblea erano quelli di informare, con serenità e obiettività, gli assistenti sulle prospettive delle ACLI, con una relazione del presidente provinciale M. Faini sul tema: “Le ACLI fra ieri e domani”,[15] e definire il ruolo dell’assistente ACLI e concordare una omogenea presenza pastorale con una relazione dall’assistente regionale lombardo, don Sandro Mezzanotti, sul tema: “il ruolo dell’assistente ecclesiastico nelle ACLI”[16].

Riserve vennero espresse sulla relazione Faini dai sacerdoti presenti all’incontro. Alcune di queste riserve vennero fugate da don Angelo[17] il quale riconosceva al Movimento l’autonomia che reclamava ma nello stesso tempo chiedeva un’autentica testimonianza cristiana sia al singolo aclista sia al Movimento.

Il 18 dicembre del 1968 don Angelo tenne una relazione al Consiglio Presbiteriale Diocesano sul tema: “Le ACLI dal punto di vista pastorale”[18] nella quale, dopo aver tratteggiato l’urgenza, la complessità, le difficoltà della evangelizzazione del mondo del lavoro, aver delineato con molta chiarezza il ruolo delle ACLI a livello nazionale e provinciale, aver specificato quale doveva essere l’azione pastorale degli Assistenti Ecclesiastici, indicava quali dovevano essere le linee di comportamento pastorale nei confronti dei laici impegnati nelle ACLI.

Le direttrici di fondo del servizio ministeriale che don Angelo ha sviluppato con gli assistenti ACLI sono state:

a)      annuncio della parola di Dio e celebrazione dell’Eucarestia promovendo alcuni momenti forti di esperienza religiosa e liturgica al fine di animare sacramentalmente e di rinnovare spiritualmente l’impegno di testimonianza cristiana del gruppo aclista in quanto tale.[19]

b)      Approfondimento della qualificazione cristiana ed ecclesiale delle ACLI, promovendo iniziative organiche di riflessione sugli aspetti più rilevanti dell’impegno del cristiano nel mondo.[20]

c)      Sensibilizzazione del clero e della comunità ecclesiale, non solo sui problemi più specificatamente aclisti, ma anche su quelli più generali della pastorale del mondo del lavoro, A questo proposito si curarono i rapporti con gli assistenti di circolo, con i sacerdoti in generale, con il seminario, con il Vescovo, con gruppi di laici.[21]

d)      Presenza pastorale nel disegno programmatico delle ACLI: cercando di collocarsi come prete e come assistente al di dentro dell’esperienza aclista, per camminare insieme, per crescere insieme.[22]

e)      Tessitore instancabile del dialogo tra Movimento, Assistenti ecclesiastici, sacerdoti e Vescovo in merito alla situazione venutasi a creare nei rapporti tra ACLI e CEI dopo la lettera del Card. Poma.[23]

5.  Il legame dell’Assistente ACLI con il suo Vescovo

La nomina dell’assistente da parte del Vescovo implica per l’assistente un rapporto di lealtà con il vescovo stesso.[24]  Per questo motivo il  Vescovo è stato permanentemente informato della vita delle ACLI, sia da parte di don Angelo ma che da parte dei dirigenti. Efficaci, a questo riguardo, gli incontri periodici della Presidenza ACLI con il Vescovo (almeno due ogni anno) e i vari interventi del Vescovo stesso ad iniziative del movimento (scuola sociale domenicale, premiazione del­le Colf, riunione precongressuale con assistenti e diri­genti ACLI nella sede provinciale. Don Angelo aveva premura di far conoscere tutto ciò che succedeva e veniva scritto sulle ACLI al Vescovo.[25]

Significativi sono stati alcuni incontri con il Vescovo sollecitati e preparati con cura da don Angelo:

ü      L’incontro del vescovo con gli operai in episcopio in occasione dell’anno della fede (1967/68) e con il mondo rurale tenutasi a Manerbio;[26]

ü      L’incontro del 22 dicembre 1970 con il vescovo, in episcopio, con la Presidenza Provinciale delle ACLI e gli Assistenti Ecclesiastici sullo stato del Movimento a Brescia.

ü      Riunione interzonale del clero - 28 aprile 1971 -, con la partecipazione del Vescovo: la riunione ha lo scopo di «approfondire con il Vescovo, visibile principio e fondamento di unità nella Chiesa bresciana, gli aspetti della qualificazione cristiana che maggiormente si riferiscono alla volontà degli aclisti di essere Chiesa».[27]

ü      Incontro del Presidente provinciale delle ACLI e dell’Assistente con il Vescovo.[28]

ü      15 maggio 1971. Comunicato del Vescovo di Brescia, dopo la dichiarazione della CEI sulle ACLI, rivolto al clero e ai fedeli della Diocesi.  Il Vescovo dice tre parole sulle ACLI: chiarificazione, riconoscenza, incoraggiamento, e dà una saggia norma pastorale quando esorta di evitare ogni atteggiamento che possa suonare condanna alle ACLI.

ü      Gli scritti che don Angelo inviava all’assistente nazionale mons. Cesare Pagani, riguardo alla situazione delle ACLI erano condivisi con il Vescovo mons. Morstabilini.[29]

 

A cura di G. Lucio Bregoli



[1] Il materiale utilizzato per questa memoria sta in:

-          archivio ACLI provinciali cartella Assistenti Ecclesiastici

-          G. Lucio Bregoli “L’apporto delle ACLI al movimento operaio bresciano” tesi di laurea, Trento 1978-79

-          Battaglie Sociali, mensile delle ACLI bresciane, anni 1967-71

[2] Infatti nella sua presentazione agli aclisti, apparsa su Battaglie Sociali del 24 luglio 1967, affermava: “ Vengo da Lovere: un campo di apostolato che mi ha dato l'occasione di conoscere da vicino, come cappellano di fabbrica all’Italsider, l'anima del lavoratore nello stesso ambiente di lavoro; ho potuto spesso girando di reparto in reparto, accostare i lavoratori a tu pur tu, nel frastuono delle presse, degli altiforni e delle gru; ho potuto direttamente rilevare la misura del loro sacrificio, a volte della loro  esasperazione. Quante volte mi sono chiesto, osservando quei volti anneriti dal fumo, segnati dalla stanchezza e dal sudore, se quegli uomini sapevano il perché della loro fatica, se coglievano,al di là della busta paga, le ragioni ultime e le ultime giustifi­cazioni del loro lavoro, se si sentivano lì “cristiani”, “sacerdoti” del loro sacrificio. Vi confesso che spesso, anche se cercavo di inserire nel discorso, che si faceva subito intimo, incalzante, sconcertante, alcune parole evangeliche, mi sentivo tremendamente a disagio, perché le mie parole avevano un suono estraneo al loro mondo; parole avulse da un contesto nel quale mi sentivo in prestito,  “altre” dalle loro parole, e forse le mie apparivano loro un po’ troppo di “mestiere”.

Ad un certo punto avver­tivo un velo di garbato scetticismo che si infrapponeva tra me prete e quegli uomini fratelli; mi auguravo allora di poter ve­stire come loro, lavorare come loro, soffrire come loro, perché la parola evangelica che portavo loro fosse veramente capita e accettata come vera. Ma poi mi chiedevo se proprio questo esigevano da me quegli uomini, e nel tentativo di dare una risposta a questo interrogativo, che ancor oggi è più che mai vivo, mi trovavo a pensa­re ai lavoratori cristiani, a coloro che portano nell'am­biente di lavoro la loro fe­de come coraggiosa testi­monianza, capivo allora la loro insostituibile presenza apostolica: e mi augu­ravo fossero tanti, tutti”.

E più avanti nella sua riflessione sottolineava “ Il                movimento aclista riu­scirà ad essere sempre più coscienza critica della cristianità nel campo sociale, nella misura in cui saprà assimilare e incarnare in concretezze esistenziali il messaggio di Cristo, e solo in comunione di fede e di ubbidienza al Papa e al Vescovo, si inserirà in funzione profetica nell’unità vivente del Popolo di Dio.

L’anno della fede, che sarà vissuto anche nella nostra Diocesi con oppor­tune iniziative, alle quali aderiremo con slancio consapevole, deve segnare per il nostro movimento una felice stagione di rinnovamento interiore, di corag­giosa verifica, di profonda testimonianza, di efficace annuncio del Vangelo, in attuazione dei voti conciliari quali vengono espressi nella costituzione sul­la Chiesa al capitolo 3°: “Cristo, il grande profeta, il quale e con la testimo­nianza della vita e con la virtù della parola ha pro­clamato il Regno del Padre, adempie il suo ufficio profetico fino alla piena  manifestazione della gloria, non solo per mezzo della Gerarchia, la quale  insegna in nome e con la potestà di Lui, ma anche per mezzo dei laici, che perciò costituisce suoi te­stimoni e li provvede del senso della fede e della grazia della parola, perché la forza del Vangelo ri­splenda nella vita quotidiana, familiare e sociale”.

[3] archivio ACLI provinciali cartella Assistenti Ecclesiastici

[4] Si desume in particolare dagli scritti apparsi su Battaglie Sociali degli anni 67/68 e dalla corrispondenza con i sacerdoti presente nella cartella degli Assistenti Ecclesiastici.

[5]  “Battaglie Sociali”, 31 ottobre 1967. Parlando dei laici, la Costituzione sulla Chiesa dichiara al cap. 4°: «I sacri Pastori … sanno di non essere stati istituiti da Cristo per assumere da soli tutto il peso della missione salvifica della Chiesa verso il mondo, ma che il loro eccelso ufficio è di pascerei fedeli e di riconoscere i ministeri e i carismi dei fedeli, in modo che tutti concordemente cooperino, nella loro misura, al bene comune».

I laici sono, pur con la loro singolare vocazione, parte integrante della Chiesa tutta: «Vige fra tutti – dice ancora la Costituzione – una vera uguaglianza a riguardo alla dignità e all’azione comune a tutti i fedeli nell’edificare il Corpo di Cristo». Nel suo articolo afferma: «tutti i cristiani, preti e laici, sono «mandati», nella molteplicità e originalità dei carismi, ad annunciare la morte e la risurrezione del Signore a salvezza del mondo». «Sono dichiarazioni molto chiare – continua don Angelo – che il cristiano prete e il cristiano laico devono meditare. Si tratta di maturare, in consapevolezza interiore, il convincimento da parte del cristiano prete che non sono più tollerabili «supplenze clericali» nel campo della profanità, né presenze tutelari nelle realtà temporali; da parte del cristiano laico che la corresponsabilità alla missione salvifica non va intesa in termini di competitività nei confronti del clero giudicato usurpatore di compiti e di mansioni. (…) Vi è un’insidia per il laicato: separarsi, in vista della sua particolare vocazione, dal Corpo della comunità ecclesiale».

[6] «A livello parrocchiale l’autonomia è indubbiamente affascinante, ma altrettanto ambigua. Che vuol dire, in una parrocchia, «autonomia» di un circolo aclista in rapporto al parroco ad altri gruppi di ispirazione cattolica?

Si ha l’impressione che sussista in alcuni casi, anche nel fervore «rivoluzionario» conciliare, un detestabile equivoco di fondo su cui, fino ad ora, si è combinata una precaria coesistenza tra clero e laicato: l’equivoco del circoscrivere in termini quantitativi la propria competenza, contrapposta o affiancata a quella dell’altro o degli altri, così che fino a ieri la fetta maggiore di autorità era gestita dagli uni, oggi spetta agli altri. (…) Il rinnovamento conciliare è possibile solo «sforzandosi di penetrare più a fondo il mistero della Chiesa «popolo adunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» per essere con Cristo «luce delle genti» nell’annuncio del Vangelo e quindi per manifestare il Regno di Dio agli uomini nelle parole e nelle opere». «Il compito del laicato e del clero è un compito di servizio della Verità e alla Verità: è una missione di fedeltà piena al cristianesimo, che non è semplice adesione a formule intellettuali e a precetti morali, ma è conversione interiore a una mentalità di fede, di speranza, di carità nell’adesione alla persona di Cristo»

[7]  G. Lucio Bregoli “L’apporto delle ACLI al movimento operaio bresciano” tesi di laurea, Trento 1978-79

[8]  “Battaglie Sociali”, ottobre 1968 (...) “Siamo di fronte ad uno strano atteggiamento anche del mondo cattolico: ci si lamenta, si constata il superamento irreversibile di tradizioni, la inadeguatezza di metodi e di strutture; quando poi si tratta di proporre e studiare e tentare cose nuove, spuntano fuori paure, perplessità “prudenze” non del tutto giustificate dalla necessità di operare senza salti nel buio e senza profetismi rischiosi.  Ci lamentiamo spesso di un laicato assente, estraneo alla vita ecclesiale, disimpegnato e amorfo; basta però che i nostri laici assumano dirette responsabilità e, con la loro testa, si sforzino ad operare nell’ambito del temporale e siano disposti a fare in prima persona, al di fuori delle supplenze, decisi a pagare sulla propria pelle, che devono cozzare contro coalizioni, a dir poco incomprensibili.  Le ACLI stanno vivendo questo fenomeno: è un’esperienza tipica e sintomatica. Tipica e sintomatica per il fatto che le ACLI, nella recente vita della cristianità italiana che corrisponde all'epoca postbellica prima e conciliare poi, rappresentano una formula originale di associazionismo cattolico, basata sui principi della democrazia e della autonomia, in uno spazio “sociale” che a stento ancor oggi si tenta di individuare, concedendo al partito da un lato , al sindacato dall'altro, di “occupare” tutto lo spazio della comunità. Da molti il collocarsi delle ACLI in un preciso spazio sociale viene considerato almeno ambiguo: quante volte sentiamo dire “Le ACLI fanno politica e non sono partito; le ACLI fanno attività sindacale e non sono sindacato; che cosa sono?”.

L’equivoco forse è nato dal fatto che il cittadino più o meno consciamente ha demandato al partito il compito di fare “tutta” l’attività politica e al sindacato il compito di fare “tutta” l’attività sindacale: il cittadino ha affidato la gestione di un preciso dovere-diritto a soggetti estranei a se stesso (tali sono oggi i partiti e in buona parte anche i sindacati) riducendo il proprio ruolo, nella migliore delle ipotesi, al ruolo del brontolone e del contestatore.  Le ACLI si pongono come Movimento Operaio Cristiano nell’ambito della Società a fare politica anche se non partitica perché non sono partito, con la coscienza di assolvere ad un preciso dovere civico, irrinunciabile ed inderogabile, con la consapevolezza di assolvere a una chiara testimonianza cristiana: partecipare al dibattito dei problemi sociali, interloquire nella formulazione dei programmi, partecipare direttamente allo sforzo del progresso sociale equivale all'esercizio della virtù morale della politica, che si muove nel più ampio contesto della giustizia e della carità. Il fare politica non è una cosa sporca, quando non sia calcolo macchiavellico o tatticismo interessato o strategia opportunistica, o manovra clientelare, o sopraffazione partitica e monopolistica, o conservazione del privilegio, ma sia invece servizio  disinteressato della comunità, sia ricerca appassionata del bene comune, sia strategia leale volta a comporre le tensioni e gli interessi in una più alta sintesi di valori universali, sia apertura e capacità a vedere e discutere i problemi umani a dimensione mondiale nel superamento di nazionalismi, razzismi e classismi deleteri e sorpassati, sia forza morale e diplomazia pulita per  lottare contro gli imperialismi di diverso stampo  ma di identica logica di dominio, sia rifiuto di qualsiasi spartizione di aree di influenza che si stabiliscono con tacite reciproche concessioni a livello locale, nazionale e internazionale. Insomma si può veramente parlare di virtù morale della politica, quando voglia dire impegno a promuovere, ad ogni livello, la dignità della persona umana e il bene comune. Insomma si può parlare di autentica testimonianza cristiana che si realizza non tanto per un diretto mandato della Gerarchia, quanto per una intima coerenza della coscienza cristiana. (…)

[9] Battaglie Sociali, ottobre 1968: È indubbiamente un'opera coraggiosa, rischiosa se si vuole, ma oggi, assolutamente necessaria, e i nostri laici non devono trovarsi soli, circondati da scetticismo, o, peggio, da diffidenza, ma devono sentire che gli Assistenti Ecclesiastici sono al loro fianco, da preti, come padri e maestri capaci di capirli, di difenderli e anche di contestare le loro posizioni e la loro vita morale e spirituale. Devono sentire che gli Assistenti accettano e condividono con loro il travaglio della ricerca, che sono attenti alla vita, che camminano al loro fianco con vera umiltà, convinti di ricevere oltre che dare, aperti a ricevere da loro una maggiore sensibilità per i valori terreni e pronti a far sentire a loro la necessità di dare un'anima alle cose e di aprirsi ad una visione integrale della vita.

Dobbiamo dare atto che l'esperienza aclista è stata una esperienza di spiritualità operaia; che le ACLI hanno reso e rendono possibile un tentativo di dialogo conciliare nel mondo cattolico tra laici e clero; che le ACLI hanno maturato una più responsabile presenza cristiana nel mondo del lavoro; che le ACLI, oggi, svolgono una forma di apostolato ecclesiale in avanscoperta e rendono più credibile la Chiesa dei poveri.

È giunto, forse, il momento di superare definitivamente ogni forma di clericalismo e di ingerenza indebita, accordando come disse il Papa  nell'aprile scorso, piena fiducia alla maturità delle esperienze e dei programmi aclisti.

Le ACLI bresciane contano 216 circoli: una grossa presenza organizzativa che, nonostante difetti e deficienze, costituisce una grande occasione di esperienza comunitaria cristiana, solo che tutti, preti e laici, ognuno al loro posto, colgano i segni anticipatori dei tempi nuovi, ne accettino con coraggio le istanze e le traducano in quel nuovo modo di essere e di operare auspicato dal Concilio Vaticano II”

[10]  “Rivista della Diocesi di Brescia”, febbraio 1969, nel capitolo interessato vi sono i rimandi alla “Popolorum Progressio”, alla Gaudium et spes, Lumen gentium, Apostolicam actuositatem, al documento dei vescovi italiani, “I cristiani e la vita pubblica”, gennaio ’68.

[11] G. Lucio Bregoli “L’apporto delle ACLI al movimento operaio bresciano” tesi di laurea, Trento 1978-79

[12]  intervento al consiglio provinciale ACLI, del 21/9/68, Archivio ACLI, cartella assistenti, 1967/69

[13] L'articolo 46 dallo Statuto delle ACLI dice: "I circoli e gli organi zonali, diocesani, provinciali, regionali e naziona­li hanno un Assistente Ecclesiastico, nominato dalle competenti autorità.  L'Assistente Ecclesiastico cura che l'attività delle Associazioni si svolga in armonia con i principi della morale cri­stiana e con le direttive dalla Chiesa; esso attende all'opera di educazione e di elevazione religiosa dei soci in conformità agli scopi di cui all'art.2".

[14] ibidem

[15] Battaglie Sociali, gennaio 1969

[16] ibidem

Ai sacerdoti intervenuti furono vennero consegnati i seguenti sussidi che permettevano loro di approfondire ulteriormente le questioni relative al ruolo dell’Assistente Ecclesiastico e alla linea politica del Movimento:

-          il discorso del Papa agli Assistenti ACLI (24 aprile 68)

-          stralcio dell’intervento dell’assistente Nazionale ACLI mons. Cesare Pagani alla Conferenza dei Presidenti Provinciali ACLI d’Italia

-          Indicazioni operative per il nuovo anno sociale 1968-69 a cura dell’Ufficio Assistenti Ecclesiastici di Brescia

-          La relazione del Presidente Provinciale Mario Faini all’Assemblea dei Quadri Dirigenti ACLI (27 ottobre ’68)

-          Schema della relazione del Presidente Provinciale ACLI

-          Una lezione di teologia pastorale di M. Martelet S.J. su “Linee pastorali per una crescita plenaria dell’uomo” tenuta a Roma agli Assistenti Provinciali il 23/4/68

-          Una lezione di teologia biblica di don Gonzales-Ruiz su “Facciamo l’uomo” tenuta a Roma al Convegno Assistenti ACLI il 22/4/68

-          Osservazioni generali sul Movimento Aclista nella nostra provincia

-          Panoramica sui circoli ACLI della diocesi di Brescia, desunta da un’indagine operata tra gli Assistenti

[17] La seguente lettera inviata all’assistente ecclesiastico don Angelo Zanetti, coglie il disagio esistente tra ACLI e assistenti ACLI:

           Don Giuseppe Cavesti                 28.11.1968                            Campione del Garda.

Carissimo don Angelo

                             mi riferisco al nostro incontro sacerdotale di pochi giorni orsono per richiamare le gravi e generali riserve che, a mio parere, i Sacerdoti.hanno espresso specie a seguito "relazione Faini". Mi è sembrato che non si debba mettere in discussione l'autonomia delle ACLI (anche altri Movimenti, es. i Sindacati, proclamano lo stesso diritto), ma gravi preoccupazioni trovano origine nel ven­tilato progetto di non badare all'unità dei cattolici ( è superficiale la valutazione di Faini quando afferma che non è "unità" dei cattolici il fatto che solo circa  dodicimilioni si orientino alla D.C., in quanto le giuste attese sa­rebbero che assai più si orientino al fine  inteso con la proclamazione dell'unità in vista delle insidie non lievi alla  democrazia in Italia), intendendo da parte delle ACLI non dar vita a un partito (c'è già stata una marcia indietro da posizioni di tempo fa, quando tu accennasti a noi, se ben ricordo, l'intento di Labor ecc. di dar vita proprio a unl partito?), ma di non orientare i propri  aderenti alla  D.C. per la politica, o alla CISL per il Sindacato.

Ora è opportuno e prudente, specie in Italia, favorire, in  pratica,  un frazionamento di forze quando gravi pericoli incombono sulle libere Istituzioni in forza di Partiti,di soggetti che non si scuotono (almeno sostanzialmente) dalla loro  posizione di quinte colonne di organizzazioni internazionali tutte orientate a comprimere e fare scomparire la liberta?

La nostra azione di assistenti, oltre che di apostoli per la formazione religiosa, non dev’essere pure discretamente orientativa su questioni vitali come le accennate? E noi sa­cerdoti non potremmo prenderci cura maggiore anche dei Sindacalisti, dei Politici che sostengono nei campi rispettivi i principi di un reale progresso umano, assolvendo a un compito non facile,  creando qualche iniziativa che  spiritualmente li indirizzi ,      li sostenga e li incoraggi?

Credo che la cosa sarebbe più utile di certe posizioni trop­po critiche dalle quali è facile esca la divisione, in un campo ove urge una ben intesa unione.

Ne parleremo  ancora.

Saluti cari.                             Aff.mo  tuo don Giuseppe

 

Carissimo don Giuseppe                                               2 dic. ‘68

ho letto la tua del 28 u.s., nella quale esprimi perplessità e riserve sul futuro delle ACLI, in quanto starebbero maturando scelte pericolose e rischiose, soprattutto in rapporto alla unità politica dei cattolici.

Capisco le tue. Preoccupazioni, che sono un po' di tutti (non esclusi gli stessi dirigenti del movimento), ma, vedi mi pare che noi si debba affiancare i nostri laici aclisti in questo particolare momento di ricerca e di travaglio con com­prensione, con rispetto della loro esperienza e della loro com­petenza (1'esistenza più alle ventennale delle ACLI è una buona

prova di maturità, di saggezza , di responsabilità). Per quanto concerne "l'intento di Labor di dar vita proprio a un partito" posso dirti questo: vi è in atto, al di fuori delle ACLI, un tentativo di cercare una piattaforma culturale di convergenza per i vari gruppi del dissenso, per le frange scon­tente dei partiti, per i fermenti contestativi che non hanno oggi uno sbocco operativo; a questo tentativo partecipano anche al­cuni uomini aclisti (Labor ha già detto che si ritirerà dalla pre­sidenza delle ACLI con il prossimo congresso nazionale, proprio per seguire questa esperienza), ma che, in coerenza con il principio della autonomia, garantito da quello della incompatibilità tra cariche direttive di organismi diversi, non bruceranno le ACLI, né le strumentalizzeranno alla nuova, eventuale, ipotetica oggi, convergenza culturale-politica.

Sono aclisti che a titolo personale si impegnano in un tipo di ricerca e di proposta che non possiamo e non dobbiamo, a parere mio, ostacolare; sono gente responsabile, profondamente ancorata al patrimonio ideale del movimento.

La nostra azione di Assistenti mira a dare agli aclisti una coscienza cristiana sempre più aperta, a nutrire l'azione e l'impegno sociale degli orientamenti morali dell'insegnamento del Magistero della Chiesa, a comunicare a loro un profondo amore a Cristo che si esprime anche, oggi forse soprattutto, nello sforzo di trasformare le strutture, così che siano animate più cristianamente. Sono d'accordo anche per quanto dici su una maggiore assistenza ai sindacalisti e ai politici sul piano morale e spirituale, fermo restando il principio del rispetto delle competenze.

Comunque, caro don Giuseppe, sono grossi problemi sui quali è necessario ancora a discutere nei nostri convegni e lo faremo anche nel prossimo degli Assistenti di zona (per il quale ti manderò a giorni il materiale) convocato per il 18 dic. prossimo.

Grazie della tua lettera e arrivederci. Con vera amicizia.

[18] l’intervento è stato pubblicato integralmente sulla “Rivista della Diocesi di Brescia”, febbraio 1969.

[19] archivio ACLI provinciali cartella Assistenti Ecclesiastici

    A questa finalità miravano:

a)la celebrazione dell'Eucarestia, con la S. Messa settimanale nella cappella  della sede provinciale, all'inizio delle riunioni del Consiglio Provinciale e delle varie assemblee.

b)La celebrazione di "giornate di spiritualità", come, ad es. la festa di S. Giuseppe, il Venerdì Santo,  giornate mariane, i ritiri spirituali, gli esercizi spirituali.

[20] archivio ACLI provinciali cartella Assistenti Ecclesiastici

   A questo scopo vennero tenuti:

a) alcune serie di conferenze e dibattiti sulla tematica conciliare: "Giovedì conciliari", così detti perché venivano tenute al giovedì.

b) Corso organico di teologia, della durata di due anni, te­nuto in sede provinciale e in alcune zone della provincia.

c) Alcune assemblee di studio per i quadri dirigenti sugli aspetti più concreti della presenza apostolica delle ACLI nella provincia e nelle parrocchie.

d) Presenza costante e continua dei sacerdoti assistenti a tutti i momenti più significativi della vita del movimen­to, resa possibile dalla disponibilità "a tempo pieno", almeno a livello provinciale, del sacerdote. E' stata una presenza necessaria che ha consentito di dare alla presen­za sacerdotale significato di comunanza di vita, di migliore conoscenza reciproca, di condivisione delle preoccupa­zioni e dei sacrifici di tutti, di possibilità di tempestiva verifica morale dei comportamenti e dei giudizi, di possibilità di un servizio ministeriale organico.

[21] archivio ACLI provinciali cartella Assistenti Ecclesiastici

i vararono alcune iniziative:

a) "Gruppo sacerdotale di lavoro": è composto dai delegati per il mondo del lavoro della varie zone pastorali della diocesi e da alcuni altri sacerdoti interessati a questa esperienza pastorale. Il gruppo ha lavorato attraverso sette, otto convegni annuali, di mezza giornata ciascuno, con finalità di ordine teoretico e di ordine pratico. Il gruppo vive dal 1967, anche se con qualche difficoltà. I membri del gruppo hanno svolto poi un'azione animatrice nel­le rispettive zone.

b) Assemblee generali degli Assistenti ACLI di circolo (di­cembre '68, dicembre '69) con la partecipazione dell'As­sistente nazionale; e incontri interzonali, aperti anche ai sacerdoti non assistenti. Nel 1970 furono attuati 10 incontri interzonali, con la partecipazione di 158 sacerdo­ti; nel 1971 ne furono attuati 8, con la partecipazione di 105 sacerdoti.

c) Corso di teologia pastorale sul tema "Chiesa locale e mondo del lavoro", aperto a sacerdoti, laici e religiosi, tenuto dal gennaio al marzo 1971, presso il Seminario Santangelo, con 167 iscritti. Gli atti del corso vennero raccolti in volume ciclostilato.

d) Contatto personale attraverso incontri originati da conferenze nei circoli, dibattiti, riunioni nei gruppi di ba­se, ecc. valutabili in 60-70 ogni anno.

e) Alcuni interventi sul settimanale "La Voce del Popolo" e sulla “Rivista della Diocesi".

f) Seminario: alcuni chierici teologi, ogni anno, hanno partecipato alla vita del movimento, nei suoi momenti più significativi. Furono organizzati anche alcuni incontri con seminaristi liceali sulla problematica delle ACLI.

[22] - archivio ACLI provinciali cartella Assistenti Ecclesiastici

 - G. Lucio Bregoli “L’apporto delle ACLI al movimento operaio bresciano” tesi di laurea, Trento 1978-79

 - Battaglie Sociali, mensile delle ACLI bresciane, anni 1967-71

[23] archivio ACLI provinciali cartella Assistenti Ecclesiastici

[24] Intervento di don A. Zanetti al consiglio provinciale ACLI, del 21/9/68

[25] archivio ACLI provinciali cartella Assistenti Ecclesiastici

[26] ibidem

[27] ibidem

[28] ibidem, l’incontro si è tenuto il 7 maggio 1971

[29] Lettere e osservazioni di don Angelo Zanetti sull’intervento di mons. Pagani al Congresso di Torino e sulla situazione delle ACLI: 4/9/69 e 6/2/70